Culture anche tanto diverse tra loro possono coabitare e coesistere. Ne è convinto Kwame Anthony Appiah, che nel libro Cosmopolitismo, l’etica in un mondo di estranei, espone la tesi di una possibile pacifica convivenza anche tra civiltà diverse, problema che certamente si pone in un’epoca globalizzata. Seguendo un filo logico ineccepibile, con argomentazioni infarcite di esempi, aneddoti, racconti e approfondimenti antropologici, ci dimostra che in realtà il dialogo tra persone di paesi diversi è inevitabile. E non può essere altrimenti visto che lui stesso, l’autore, è frutto di un mix di culture e etnie differenti, incarna il cosmopolitismo, l’incontro tra mondi diversi che hanno trovato il modo di avvicinarsi e fondersi senza conflitti.
Certo, su alcune questioni lo scontro è assicurato, perché le differenze esistono e non bisogna cercare di nasconderle. In particolare in un dialogo tra persone diverse su questioni di valore è sicuro che l’una non riuscirà a persuadere l’altra della giustezza delle proprie convinzioni. Ma perché cercare di farlo?
Il linguaggio dei valori è uno dei modi più importanti che abbiamo per coordinare il nostro modo di vivere con quello degli altri. Fa parte del nostro essere Comunità. Ci richiamiamo ai valori quando cerchiamo di capire, di cogliere il senso delle cose fatte insieme. E d’altra parte ciò che vediamo dipende da ciò che crediamo. Ciò che ci sembra ragionevole pensare dipende dalle idee che abbiamo già.
Non sempre dunque la logica è la stessa per tutti, la ragionevolezza non è un valore oggettivo. In tutte le parti del mondo si applicano i concetti che ci fornisce la nostra cultura. Ma per capire come un valore riesca a motivare una persona non dobbiamo necessariamente condividerlo. Basta metterci nei panni dell’altro.
Dobbiamo imparare a conoscere persone di altri luoghi e di altri paesi, interessarci ad altre culture, al loro modo di ragionare, ai problemi, agli errori, ai successi di altri popoli, non perché questo ci aiuterà ad essere d’accordo con loro, ma perché ci aiuterà ad abituarci gli uni agli altri. Il fatto che vi siano tanti motivi di dissenso sui valori non deve scoraggiare. Capirci a vicenda può essere difficile, ma è certamente interessante, e non ci obbliga affatto a trovare un punto di convergenza.
Questa è la tesi di Happiah, non bisogna per forza andare d’accordo, non è necessario che uno convinca l’altro: “il problema della comunicazione transculturale può sembrare immensamente difficile in teoria, quando cerchiamo di capire un estraneo in astratto. Ma la lezione dell’antropologia è che quando l’estraneo non è più immaginario ma reale e presente, e ha una vita sociale come voi, può piacervi o non piacervi, potrete essere d’accordo con lui o in disaccordo, ma se è quello che volete tutti e due alla fine potrete comprendervi l’un l’altro”.
Nulla di ciò che è umano è estraneo a me, diceva un celebre “immigrato” della Roma antica, è già da allora era chiaro che, pur nella diversità, ci si può comprendere partendo dalla consapevolezza della comune umanità.