Ormai è certo. La giunta militare in Myanmar è riuscita ad ottenere quello che voleva: impedire al Nobel per la Pace e leader della Lega Nazionale per la Democrazia in Birmania di partecipare alle elezioni politiche del 2010 che la stessa giunta aveva promesso.
La condanna agli arresti risale a metà agosto scorso, a seguito del processo che ha visto Aung San Suu Kyi accusata di aver aver ospitato in casa, i primi di maggio, lo statunitense John William Yettaw, violando così le regole degli arresti domiciliari che vigevano dal 2003. Fissata prima a tre anni, la pena è stata ridotta a un anno e mezzo. I legali sono ricorsi in appello che ieri, 2 ottobre, è stato respinto, infrangendo così la possibilità di libere elezioni.
Si prolunga così di 18 mesi l'ingiusta detenzione della leader dell'opposizione che ha già scontato 13 degli ultimi 19 anni agli arresti domiciliari. Questo è un colpo durissimo verso una grande donna privata ingiustamente della libertà per le sue idee politiche e verso un paese che si trova senza opposizione, in balia di un regime militare.
John William Yettaw ha ricevuto una condanna 'esemplare': sette anni di lavori forzati per violazione delle leggi sulla sicurezza, immigrazione illegale e violazione delle norme locali che regolano l'attività natatoria.
Si è alzata nei mesi scorsi anche la voce del direttore della radio “Democratic voice of Bruma” Aye Chan Naing, il quale dalla Norvegia ha affermato che la visita di Yettaw è stata una “trappola” orchestrata dal governo militare per discreditare la San Suu Kyi.
Dure sono le reazioni da parte dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, dell'Unione Europea e del presidente degli Stati Uniti che ritengono la condanna una grave violazione dei principi della democrazia e chiedono il rilascio immediato della San Suu Kyi.
Questa notizia rappresenta una nuova battuta di arresto nel cammino la normalizzazione politica in Myanmar. Per avere un'idea della gravità della situazione dobbiamo ricordare che nel 1990 la Aung San Suu Kyi ha vinto le libere elezioni e che a seguito di questa vittoria l'esercito ha fatto irruzione nella sede della Lega Nazionale per la Democrazia arrestandone i membri.
“La lotta per la democrazia in Birmania è una lotta per la vita e la dignità” che accomuna tutti nel ribadire e rifondare costantemente i diritti inalienabili dell'uomo. Continuiamo a far sentire la nostra voce, ancora e più fortemente.